Oggi vorrei ragionare in termini sociologici e antropologici dei “social network”.
Per lavoro, mi capita di prendere due treni regionali ogni giorno (dopo aver camminato per molti minuti) e mi capita di osservare, ancora di più, le abitudini di genti di ogni tipo.
Sia la mattina presto, che la sera, la principale occupazione di quasi tutte le persone che incontro è avere la testa curva sulla loro mano destra o sinistra che manovra, con il pollice, sullo schermo dei loro smartphone. Nel migliore delle ipotesi si lascia un messaggio senza parlare direttamente con l’interlocutore.
Ragazze e ragazzi, donne e uomini, anziane e anziani, che camminano senza più guardarsi intorno, che ti vengono anche addosso o attraversano la strada senza guardare, tanto è verde o l’auto mica mi può buttare sotto…
Ieri ho dovuto cambiare scompartimento del treno tre volte: nel primo un uomo vedeva e ascoltava a tutto volume video improbabili, lo stesso nel secondo scompartimento, ma l’attività era svolta da una ragazza; per finire nel terzo scompartimento dove un’altra ragazza faceva a gara con un ragazzo a chi sparava musica da video col maggior audio possibile.
Queste persone erano completamente estraniate dal contesto e dal mondo circostante e sembravano in preda ad una dipendenza; non si curavano minimamente del volume del loro apparecchio, per loro era una situazione normale.
E questa è proprio la cosa che vorrei sottolineare; non la mancanza di rispetto (figuriamoci) nei confronti degli altri (pochi, a dir la verità, a non fare le loro stesse cose) ma la completa trasparenza della loro volontaria lontananza dal mondo circostante. Non guardano più gli altri, non leggono un giornale o un libro, non guardano nemmeno fuori dal finestrino, non pensano.
Gruppi di ragazze e ragazze che, seduti accanto non si parlano e guardano a capo chino schermi luminosi che li allontanano dalla realtà.
L’altro ieri ben due persone mi hanno chiesto “ma dove siamo, a Napoli?”, e “ma è passata Napoli?”, come se non avessero preso un treno che faceva capolinea a Napoli e senza mai osservare fuori dal finestrino o il display che modifica al momento la distinazione.
I “social network” sono diventati “isole di solitudine”.
Non vi è nulla di “sociale”, né tantomeno di “network”. Non vi è rete sociale, ma solo dipendenza alla solitudine.
Coloro che hanno inventato questi cosiddetti “social network”, che sono diventati delle vere e proprie isole, non verranno ricordati per tutto il business che hanno realizzato, ma per gli sconvolgimenti in negativo che stanno trasformando la nostra società, e non sto parlando solo della dipendenza alla solitudine.
Hanno una responsabilità della quale, però, possono ancora farsi carico, modificando i loro modelli di business.
Davvero vorrete essere ricordate come quelli che hanno creato le “isole di solitudine”?
Ricordate, sarà sempre la realtà, quella vera, che vince e vincerà.
Per approfondire:
Non usare gli smarthone! Una bella iniziativa di un artista a Stoccolma
Ho letto il suo articolo, concordo e porto la mia esperienza di come per strada sembra passeggiare in una terra di zombie viventi. Ciò che non comprendo è se tale situazione sia causata dai social network o dalla tecnologia smartphone.
Non credo si possa condannare l’avanzare della tecnologia o altrimenti torneremmo all’epoca del luddismo, però portando la mia esperienza di commerciante sto sperimentando da quest’ultimo mese che abbandonando la pubblicità su FB a favore del passaparola, della cartellonistica e delle vetrine, ho migliorato la mia salute, ho migliorato la mia empatia nei confronti dei miei clienti con cui scambio qualche parola in più e mi sforzo nel creare nuove forme di comunicazione originali che con l’uso di FB non pensavo. I social mi davano sicurezza sul fatto che la pubblicità fosse più diffusa, ma non è vero ho fatto buone vendite anche col passaparola, concordo sul fatto che il mondo reale è ancora il mondo reale.
Ciao Valentino e grazie. Concordo, tra l’altro mi sento di sottolineare quello che tu hai scritto “I social mi davano sicurezza sul fatto che la pubblicità fosse più diffusa…”; vero, è proprio così; i social ti portano a ritenere che tutti ti vedano, tutti ti ascoltino, tutti realizzino attività per te positive.
tormentato su come rispondere … da creatore di piattaforme sociali, concordo in parte con te.
concordo sul fatto che ormai ci si estranea e si è sempre attaccati al proprio smartphone, si legge meno e ci si informa ancora meno … ma non credo che sia colpa dei social bensì dell’uso che ne facciamo.
i social è vero ci danno tante informazioni e molto spesso ci si informa su FB invece che dalle fonti ufficiali, e cosi che il cugggino del cuggino del cugino è la fonte più attendibile che abbiamo a disposizione, ma è anche vero che i social danno anche tanto valore aggiunto a chi è lontano, ti permettono di scoprire persone interessanti e belle sia fuori che dentro un social.
la colpa sicuramente non è dei social ma di come usiamo lo strumento.
forse si potrebbe fare qualcosa? boh! al momento non so, ci sto riflettendo e sto costruendo una nuova piattaforma social che dovrebbe andare in controtendenza con degli stili imposti dai big attuali … vedremo fra qualche mese cosa succederà 😉
Ciao Enrico e grazie.
Si, infatti non è colpa dei social, ma dei loro ideatori che portano gli utenti verso una loro utilizzazione massiva e acritica. Dici, giustamente, “la colpa sicuramente non è dei social ma di come usiamo lo strumento.”; si, ma i signori che li hanno inventati vogliono questo tipo di utilizzo 😉
Mi farebbe molto piacere avere notizia della tua piattaforma. Un caro saluto!